Analisi e sintesi delle interviste qualitative

Un frame della presentazione di Raffaella Roviglioni

Due momenti della ricerca delicati e fondamentali per comunicare quanto emerso. Come affrontarli al meglio?

Ce ne ha parlato Raffaella Roviglioni durante il webinar di lunedì 6 dicembre. Experience designer e UX researcher, è autrice del volume Chi vuole cavalli più veloci? Allenare ascolto e curiosità nella ricerca con le persone, il primo manuale in italiano sul valore della ricerca con le persone, che propone un metodo di lavoro che va dagli obiettivi alla sintesi.

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Rivedi il video del webinar

https://youtu.be/9WlXT3n7c4c

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Roviglioni ha già esplorato nell’ultimo Summit con i partecipanti del workshop Come si fa la ricerca come fare i reperimenti per le ricerche qualitative — anche le guerrilla — e come scrivere le domande della ricerca.

Abbiamo quindi chiesto ai soci e alle socie quali altri aspetti della ricerca approfondire durante il webinar: la scelta è ricaduta sull’analisi e la sintesi dei risultati delle interviste qualitative.

Quel momento in cui “ci si ritrova con una massa informe di dati che non sono immediatamente organizzati e strutturabili. I dati della ricerca qualitativa, infatti, sono diversi da quelli numerici delle quantitative, naturalmente predisposti a esser subito operabili. Perciò analisi e sintesi tendono a spaventare soprattutto chi ha poca esperienza: non si sa bene da dove iniziare a mettere ordine nel caos, a prendere i dati e a dargli una lettura”.

La registrazione completa del webinar è a disposizione delle persone associate ad Architecta nell’area riservata del sito.

L’analisi: dal caos alla struttura

Non c’è un metodo unico e accertato, adottato da tutti i ricercatori su come iniziare a fare ordine tra i dati emersi dalle ricerche qualitative.

Il primo consiglio è quello di lavorare direttamente dalle trascrizioni delle interviste, non dagli appunti presi. In questo modo, avendo a che fare con le parole esatte dette dalle persone, si entra direttamente nel merito del linguaggio e della terminologia utilizzati da loro, e ci si mette al riparo dai bias del ricercatore che “sporcano” gli appunti di interpretazioni personali.

Il secondo è quello di evitare di andare completamente a braccio. I rischi di un’analisi non strutturata sono infatti le scorciatoie mentali del ricercatore che giocoforza condizionano il modo in cui i risultati stessi vengono identificati: conoscenze pregresse, ricordi selettivi, migliore memoria dei ricordi recenti.

Infatti, procedendo senza una guida possiamo farci influenzare dalle conoscenze e supposizioni che avevamo prima di intraprendere l’attività di ricerca — un bagaglio che inevitabilmente ci portiamo dietro e che, allontanandoci da un’analisi rigorosa, influisce sulle parole degli intervistati che ci restano più impresse. Oppure ancora dalle parole che ricordiamo meglio perché ascoltate per ultime, mentre le prime interviste rimangono più sfumate nella memoria.

Una chiave per l’analisi: la codifica

La codifica o coding è un metodo mutuato dalla ricerca sociale; nell’analisi dei risultati della ricerca qualitativa, porta rigore e serve a decidere a quali dati dare più rilevanza e a quali meno.

Consiste nell’identificare nelle trascrizioni i frammenti di testo che riteniamo significativi e associare loro un’etichetta (un code) che ci aiuti a descriverne il significato, per poterli poi raggruppare per affinità. Il senso ultimo dell’attività è abbandonare del tutto le trascrizioni e procedere nel lavoro sui frammenti etichettati e smistati in gruppi affini.

Che cosa cerchiamo di identificare? Dei pattern, degli schemi che si ripetono tra le persone che abbiamo intervistato, ripetizioni che riguardano principalmente routine, rituali, regole, ruoli e relazioni.

Per rispondere alla domanda su quanto codificare e su quali frammenti meritano di essere etichettati, la regola viene da Jonny Saldana che afferma “code smart, not hard”, cioè codifica in modo intelligente, non pedissequo: quindi non tutto e per intero, ma frammenti che ci colpiscano e che colgano il minimo di contesto utile a non dover tornare sulle trascrizioni per recuperarlo, se è stato eliminato per eccesso di sintesi.

Decidere come codificare i dati grezzi delle qualitative è come scegliere il modo in cui ordinare i vestiti sparsi nell’armadio: non c’è un criterio giusto o sbagliato, dipende dalle nostre esigenze e dal nostro modello mentale. Quel che è certo è che il criterio che scegliamo − per colore, ad esempio − influenzerà le nostre azioni successive, rendendole più semplici.

Raffaella Roviglioni
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