Architettura dell’informazione: la cura comincia dalla parola

Come può l’architettura dell’informazione aiutare chi riceve una diagnosi a orientarsi nella confusione e a non perdere la rotta? H-Maps è una mappa di percorsi terapeutici in onco-ematologia che dà una risposta a questo bisogno.

Nel 2015 avevo poco più di 30 anni, studiavo radiologia — dopo la laurea in Lettere mi ero data una seconda possibilità — e la mia vita procedeva tutto sommato liscia.

Poi, un giorno, PATATRAC: linfoma di Hodgkin.

Una diagnosi che arriva tra capo e collo, come qualcosa di impossibile. Può succedere. Sì, ma si pensa sempre che succeda agli altri.

La saletta della chemioterapia, un ottimo punto di osservazione

Inizio le sedute di terapia ed ogni 2 settimane mi ritrovo in una saletta con altri pazienti per curarmi e condividere gioie e dolori.

Ben presto gli scambi si trasformano: spiegazioni di funzionamento degli esami diagnostici in cambio di succose ricette di acciughe e zenzero — chi ha avuto nausea per mesi, potrà capire.

Frame dal video “H-Maps — la storia”

All’aumentare della confidenza corrisponde un aumento delle domande — da lì in poi lo scambio divenne impari e non ottenni più alcuna ricetta! — e decido pertanto di fare di quella saletta il mio centro di osservazione privilegiato. Compro un bellissimo quadernetto ed ogni 15 giorni mi appunto tutte le domande che mi vengono poste.

“Quanto dura una PET?”, “ È vero che poi rimango radioattivo per giorni?”

“Che differenza c’è tra il ciclo di terapia e la seduta di terapia? Perché non usano un solo nome? mi confondono le idee!”

“L’ambulatorio di cardio-oncologia dove si trova esattamente? Quando mi hanno detto di andare al pianomeno1dellexpadiglioneisolamento ho pensato che sarebbe più semplice chiamarlo padiglione di cardiologia. Non credi? E poi ho cercato su google e non l’ho trovato.”

In quei frangenti ripenso all’ingenuità di quando facevo il tecnico di radiologia ed ero convinta che i pazienti sapessero già tutto, che arrivassero consapevoli, pronti e preparati. Ma preparati da chi?

Quando si dice user experience

Le settimane passavano, la mia carriera radiologica si allontanava ed ero inciampata un’altra volta in quello che non volevo più fare, ovvero comunicare.

Avevo dalla mia la proprietà di linguaggio, la sicurezza della materia che stavo trattando e, ça va sans dire, una user experience davvero completa.

Mi era molto chiaro il bisogno dell’utente: orientarsi nella confusione e non perdere la rotta. Capirci qualcosa, non tutto, ma quanto basta.

Slide dal XV Summit Italiano di AI 2021 ©Laura Rossi 2022

C’era un plus. Senza saperlo avevo scovato un unmeet need dei pazienti, ossia quel bisogno ancora non chiaramente espresso o formulato — in alcuni casi ancora latente — che in ambito health è molto ricercato.

Dalla stramba mappa dell’empatia che si delineava, emergeva la reticenza dei pazienti nel chiedere ed informarsi sulla propria salute e sul proprio corpo.

Chiedere conoscenza ai propri curanti sembrava per i miei compagni di poltrona un’operazione molto difficile. Rinunciavano ad informarsi per non sentirsi stupidi, invadenti, fuori luogo, per non far perdere tempo. Alcuni anche per non scoppiare a piangere o per andare a casa il più velocemente possibile. In pochi non chiedevano perché non volevano sapere.

I più tecnologici sentivano ogni giorno il Dottor Google: discreto, sempre a disposizione, non lo si disturba mai, non ti giudica ma spesso è contraddittorio e spaventevole.

I pazienti nella saletta rivolgevano spesso a me le loro domande: avevamo instaurato una relazione, la mia formazione mi rendeva una specie di fonte sufficientemente autorevole, ma senza camice e, non ultimo, eravamo sulla stessa barca.

Inoltre arrivavo direttamente dalla radiologia dell’ospedale in cui avveniva la cura: ero una specie di infiltrata.

Laddove le mie conoscenze non arrivavano, ero mandata al fronte in sala medici con la lista delle domande.

Devo ammettere che ancora oggi non capisco come i medici abbiano potuto assecondare quello che stavo facendo. Qualcuno deve aver compreso che stavo cercando una medicina in più.

Dal canto loro, i medici avevano effettivamente poco tempo: trafelati nel dare a ruota le stesse informazioni e demotivati da un ménage sempre più serrato in cui spesso la parte amministrativa supera quella clinica.

Ad ogni modo le informazioni date all’atto della comunicazione di una diagnosi cadevano nel vuoto. Erano un contorno all’unica domanda che frulla nella testa di chi ha appena scoperto la caducità dell’esistenza: “Ed ora?”

Arrivo al punto

Dopo quella fatidica domanda si torna a casa frastornati. Nei giorni successivi, nella tranquillità della propria casa, si è però più disponibili ad avere qualche informazione in più.

In quel momento sarebbe utile avere a portata uno di quei medici che ti parlavano qualche giorno prima. In alternativa, per cominciare, andrebbe bene anche un surrogato, uno strumento per aiutarti ed orientarti nella confusione del sentirsi persi.

Slide dal XV Summit Italiano di AI 2021 ©Laura Rossi 2022

E qui arrivo davvero al punto.

Nei mesi passati nella saletta avevo costruito lo strumento per orientarmi nella malattia.

Era uno schizzo su un foglio, una sorta di schemino del protocollo di cura.

Era una mappa in cui ogni esame, procedura medica o esame diagnostico ne era diventato tappa.

Accanto ad ogni tappa avevo annotato tutte le informazioni collezionate lungo la strada (quanto dura la “tappa”, dove si svolge, una breve descrizione della procedura, tutte informazioni molto pratiche e semplici).

Ad ogni tappa il tuo percorso avanza. Ogni informazione era stata sottoposta ai dirigenti medici dell’ospedale convincendoli ad usare un linguaggio meno scientifico, ma non per questo banale.

A quel disegno avevo dato un nome, H-Maps, per esteso sarebbe dovuto essere Healing maps, ma la “H” poteva avere molti significati (Hospital, Hope ecc…)

Dallo schizzo al digitale, il primo prototipo di H-Maps — ©Laura Rossi 2022

In H-Maps-prototipo, avevo deciso di inserire anche:

  • alcune tappe accessorie, ovvero esterne al protocollo di cura tout court, ma importanti per delineare la best practice di cui tutti i pazienti potessero essere consapevoli. Mi riferisco alla tappa Consulenza di preservazioni della fertilità (“ma allora può esserci vita dopo?” Ancora troppo spesso lasciata alla soggettività del curante) e a quella del Supporto psicologico (gratuito e poco sponsorizzato);
  • i servizi per i pazienti erogati dall’ospedale in cui si svolge la cura (il parcheggio gratuito per i giorni di terapia, lo sportello del malato per un aiuto sulla parte burocratica ecc…).

Avevo progettato, con l’aiuto dei miei ematologi e di tutti i clinici che avevo incontrato lungo il mio percorso, un contenitore che riunisse nello stesso posto e in modo organizzato tutte le informazioni del protocollo di cura per una determinata patologia e di quello che ruota intorno ad esso.

Non avevo inventato nulla che non ci fosse già: l’avevo solo riorganizzato e reso accessibile.

Se sai dove è la strada, la meta sembra più vicina e raggiungerla fa meno paura.

H-Maps: una srl che voleva fare la no-profit

Dalla saletta della terapia, H-Maps è uscita: è diventata una start-up attiva fino al 2020.

Un mix di prodotto e servizio: mappe (cartacee ed APP) del percorso di cura customizzate per specifica patologia, secondo il protocollo previsto, i cui contenuti dovevano essere co-progettati e validati dai medici della struttura che avrebbe erogato la mappa stessa.

Slide dal XV Summit Italiano di AI 2021 — ©Laura Rossi 2022

Nel 2016 è stato realizzato un video per raccontare H-Maps e grazie al quale, sono stati raccolti 40mila euro in pochi mesi.

Con quella cifra è stata realizzata la prima H-maps, quella per il linfoma di Hodgkin, a cui poi, nel 2018 si è aggiunta anche la H-maps per il Linfoma non Hodgkin a grandi cellule B.

Slide dal XV Summit Italiano di AI 2021 — ©Laura Rossi 2022

Il servizio è stato attivo per quasi 3 anni presso i 2 reparti di onco-ematologia del Policlinico San Martino di Genova.

Sono stati coinvolti circa 50 pazienti — i linfomi sono patologie rare e i protocolli di cura lunghi.

Con la pandemia gli investimenti ospedalieri sono stati dirottati verso altre soluzioni e la cura verso l’informazione e il conseguente empowerment del paziente, sono rimaste un fanalino di coda — molto interessante — ma un investimento rimandabile e monetizzabile solo per chi crede fortemente negli indicatori qualitativi.

Ancora oggi mi arrivano molte richieste dai pazienti ematologici in tutta Italia e mi trovo a spiegare che il progetto non è più stato finanziato. Come magra consolazione invio la mappa cartacea.

La cura, come mi disse uno dei miei medici, comincia dalla parola. Aggiungerei che comincia quando si ha la fortuna di trovare chi ascolta la tua parola e ti risponde con quella giusta: “Laura se H-Maps ti fa stare bene, fallo. Anzi facciamolo!”

Il sito di H-Maps per approfondire il progetto.

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