Legal design: il mondo del diritto abbraccia lo human centered design

Inciampiamo quotidianamente in regole pensate, scritte, comunicate e applicate male. Il legal design punta a prevenire e risolvere i problemi legali con i principi dello human centered design che considera prioritarie non le esigenze dei burocrati, ma quelle delle persone.

Cliccare con fastidio sul tasto “acconsento” di un banner cookies, firmare un lungo contratto di assicurazione senza leggerlo, presentare una domanda alla pubblica amministrazione, temendo che sarà solo la prima tappa di una personale via crucis.

Decifrare cosa si può fare e cosa è vietato tra un semaforo e l’altro, capire se il figlio del cugino di nostra madre sia un congiunto oppure no.

Sono tutte azioni che hanno in comune una cosa: le regole, il diritto.

Inciampiamo in regole concepite, scritte, comunicate, applicate male. È possibile cambiare questo stato di fatto?

Da qualche anno si è sviluppato, a partire dagli Stati Uniti e dal Nord Europa, un approccio per risolvere e prevenire i problemi legali definito “legal design” fondato sui principi dello human centered design.

Il legal design considera prioritario il punto di vista e le esigenze non di avvocati, giudici o burocrati ma delle persone che devono firmare un contratto, partecipare a un bando, leggere una policy aziendale, esercitare un diritto.

Comunicare informazioni legali comprensibili

Mentre il mondo si trasforma a una velocità imponderabile e cambia il modo in cui vengono create, processate e condivise le informazioni, quello giuridico è ancora il regno della parola scritta: non c’è molta differenza concettuale tra il codice di Hammurabi — la raccolta di leggi incise su una stele dai Babilonesi quasi 4000 anni fa — e la lunga ordinanza ancora oggi affissa sul muro di un edificio pubblico, con cui il Comune ci informa delle regole da adottare per combattere la zanzara tigre.

Per andare oltre questo modo di comunicare verbocentrico e rendere più comprensibili i complicati documenti legali, i legal designer fanno leva sugli elementi visuali: riprogettano contratti o informative privacy in cui il muro di testo viene abbattuto utilizzando diagrammi di flusso, timeline, icone, tabelle.

Sintesi del contratto fibra di Sorgenia —  ©sorgenia.it
https://www.sorgenia.it/shared/files/attachments/2020/sintesicontrattuale122020.pdf

Mettono mano all’architettura delle informazioni per aiutare le aziende e i loro legali a navigare nella complessità delle procedure.

Un esempio è dato dal modo in cui la Camera di Commercio finlandese ha riprogettato dalle fondamenta il modo di comunicare online le regole del procedimento di arbitrato.

Procedura arbitrale della Camera di commercio finlandese, fonte: https://arbitration.fi/

L’importanza delle scienze cognitive e comportamentali

I legal designer attingono alle scienze cognitive e comportamentali per aiutare la pubblica amministrazione a escogitare soluzioni che abbiano un impatto positivo sulla società.

Nello stato di New York chi commette una lieve infrazione (come andare in bicicletta sul marciapiede) viene multato e invitato a comparire, magari a distanza di mesi, davanti ad un giudice, pena l’arresto: solo nel 2014, 140mila persone sono state arrestate per questo motivo.

Rivedere il layout dell’invito a comparire e prevedere una serie di sms di promemoria a pochi giorni dall’udienza ha consentito un abbattimento delle mancate comparizione e, quindi, degli arresti. Arresti che colpivano soprattutto i ceti di cultura medio-bassa.

Il valore sociale del legal design

Nel legal design c’è infatti una forte attenzione al valore sociale di quanto creato.

Progettare informazioni chiare, procedure e servizi legali efficienti significa trattare le persone in modo equo e dare loro il potere di scegliere e agire in modo consapevole quando sono in gioco i diritti di ciascuno.

Anche per questo, limitarsi a modificare il frontend del sistema legale, ossia al modo in cui sono comunicate le regole, non basta. Lo sostiene Margaret Hagan, direttrice del Legal design Lab della d.school di Stanford, pioniera e faro di una disciplina che si sta facendo strada anche nel mondo delle università europee e italiane.

Secondo Hagan, bisogna essere ambiziosi e intervenire sul backend, sul modo di concepire le regole e di architettare le procedure, soprattutto in quegli ambiti in cui a pagare le conseguenze di un sistema legale complesso e inflessibile sono le fasce più deboli della popolazione.

Pensiamo al fenomeno degli sfratti, esploso negli Stati Uniti durante la pandemia.

Il Legal Design Lab sta collaborando con alcune città, come Pittsburgh o Philadelphia, per creare policy e programmi grazie ai quali affrontare e prevenire quella che negli Usa viene definita “la crisi degli sfratti”.

Non solo: attraverso pratiche di co-design, alcuni stati degli Stati Uniti hanno iniziato a ideare, prototipale e testare nuove regole entro confini, anche temporali, ben delimitati e nel rispetto dei diritti dei consumatori: è questa, in sostanza, la sandbox regolatoria, uno strumento di cui si parla da qualche tempo anche in Italia, nel settore del fintech o della intelligenza artificiale. 

E che ora è stato ripreso anche nel piano per il Recovery Fund, dove si propongono “iniziative di sperimentazione normativa, incluso il ricorso a regimi normativi speciali e temporanei volti a facilitare la sperimentazione di prodotti e servizi innovativi ostacolati dalla disciplina ordinaria”.

È ormai tempo che anche chi si occupa di diritto non continui a fare le cose nel modo in cui sono state sempre fatte, ma inizi a porsi la fatidica domanda: “How might we?”.


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